Una giornata con il parapendio a Cà del monte
Trovare convinzione, energie e vincere la paura è stato difficile, soprattutto per me che soffre di vertigini. Quel pensiero però entrava nella mia testa ogni volta che mi trovavo sui sentieri in quella zona, con la mia bicicletta. Durante questi anni ho solcato così tanti sentieri spesso in zone anche pericolose, oltrepassando strapiombi su sentieri a dir poco stretti, magari con l'aiuto di corde o funi di acciaio, ho risalito sentieri dove bisognava guardare avanti perchè voltarsi indietro voleva dire fermarsi e chiedere subito aiuto, oppure in sella lungo discese, già difficili da percorrere a piedi, dove bisogna essere tutt'uno con la tua bicicletta e con i freni ben tirati. Ogni volta mi chiedevo come mai avessi dovuto aver paura di risalire con il parapendio e volare. La risposta l'ho trovata durante un periodo non felice della mia vita dove ho dovuto mettere in discussione tutto, dagli amici, al lavoro, ai compagni di bicicletta, risposta che ho cercato e trovato dentro di me. Chiedersi se la risposta sia stata molto difficile da trovare, magari difficile da descrivere, è lecito ma non è così, ho preso in mano il telefono ed ho chiamato prendendo appuntamento. Cà del Monte, luogo incantevole di queste valli, prati lussureggianti, il vento che da sempre li accarezza, e lo sguardo che spazia fino all'orizzonte dove troviamo i nostri monti, cime che tante volte ho visto con la mia bicicletta da montagna. Ottobre, un pomeriggio caldo di una giornata splendida e soleggiata, "oggi si può volare" dice il maestro. E' il vento che ci porterà in cielo, lo sguardo cade sempre sulla manica a vento, che purtroppo per adesso non si alza, allora si prepara la vela, la si stende bene sul prato, ogni cosa deve essere al suo posto, il casco in testa, e tutti gli strumenti funzionanti, una preparazione accurata e meticolosa. I momenti che mi separano dalla partenza, sono lunghi ed interminabili, ma ho la fortuna di avere vicino un altro ragazzo che però ha già fatto qualche volo, e che volerà prima di me, così i discorsi mi tranquillizzano e il tempo scorre in fretta. Ora è tutto pronto, manca solo il vento, ogni cosa è al suo posto e agganciata a dovere, il maestro mi ricorda cosa devo fare e di non pensare ad altro, i movimenti sono pochi devono essere quelli e devo concentrarmi solo di essi. Un ultimo sguardo al vento e al nostro volo. Concentrazione e ripasso dei movimenti e così tutto è pronto. Il maestro, con voce ferma e secca, mi dice "vai, corri", l'adrenalina sale ed io spingo e corro, faccio solo pochi passi e la vela ci porta immediatamente in alto e mi metto in posizione da seduto..... si vola!!!!. Le paure si dissolvono in pochissimi secondi, controllo che la mia telecamera sia ben posizionata, ed il mio sguardo corre già verso le nostre colline, vorrei dire tutti i nomi dei paesi, ma vedo che sto farfugliando, così mi limito ad osservare. Vedo vicino a noi un altro che sta volando con il parapendio, le emozioni sono tante e le vorrei conservare così prendo la telecamera e mi metto a filmare, il paesaggio, la vela vicino a noi e quella che ci sta accompagnando. Non mi resta che guardare giù, forse la parte più difficile di questo viaggio, e lo faccio proprio quando stiamo volando sopra le poche case di Musigliano; gli occhi si lasciano andare alle emozioni e vedo quei tetti tanto che mi sembra di toccarli. Ora una virata e poi un altra ed ogni volta un paesaggio diverso, le mie emozioni si stanno mescolando con il vento. Ora inizia la discesa ed il maestro rinnova le attività da svolgere, rassicurandomi che se non ci riuscirò, non sarà un problema saprà lui cosa fare. Il punto di atterraggio programmato è vicino e siamo in dirittura di arrivo. Devo dire che non sono riuscito a fare ciò che dovevo ma il maestro lo sapeva già e così l'atterraggio è stato comunque dolce e riuscito. Non si ha tempo per pensare perchè si deve raccogliere la vela e lasciare il campo altri che scenderanno. Ora lo sguardo può risalire al punto di partenza, è stato un volo breve ma non così le mie emozioni, forti e straordinarie. Vedere dall'alto i luoghi che tanto amo è la risposta alla mia domanda e l'ho trovata dentro di me solo in questo momento.
Grazie Nicolò
Un giorno tra emozioni e profumi
Come potrei scrivere di vino, parlare della sua storia, delle viti, dei vigneti dell’Oltrepò Pavese? …… questa è stata la domanda che mi sono posto dovendo appunto scrivere in questa parte del progetto. La risposta è stata, “non lo so davvero”. Scriviamo di tecnica di lavorazione nelle vigne? ….. non sono un agricoltore …. Scriviamo di tecnica di lavorazione del vino? ….. nemmeno quello ….. Scriviamo di vini e bottiglie di tecniche di assaggio? …. Non sono un sommelier ….. Quale è l’argomento che mi possa indurre a scrivere qualcosa, quale è l’argomento che possa accattivare un biker, un escursionista o semplicemente uno che con la sua moto o la sua auto viene a fare una passeggiata in Oltrepò Pavese?
La risposta mi e’ venuta leggendo un libro; ne esistono tanti in commercio, che ti regalano nozioni tecniche sui gradi, acidità, salinità, colore, produttori e chi più ne ha più ne metta, ma questo mi ha acceso la scintilla “Storie de vini d’Oltrepò, uomini e donne che producono vino di qualità in aziende storiche dell’Oltrepò Pavese” di Mario Maffi-Lorenzo Nosvelli e fotografie di Massimo Sartirana. Voi direte “un altro libro sul vino”, in effetti è così, ma lo spunto che mi ha dato è stato quello di avvicinarmi a questo mondo con il giusto passo e la giusta considerazione che il vino deve avere.
La mia storia è comune a tanti giovani, che come me amavano gironzolare per le discoteche e i ritrovi di queste zone, poi tra lavoro e peripezie varie, gli anni passano, ma ricordo molto bene che allora il vino non mi piaceva tanto, era sinonimo di ubriacature.
Poi le cose cambiarono, ho incontrato una ragazza e con lei mi sono trovato a condividere passioni diverse e mi sono avvicinato al gusto ed ai piaceri della cucina e, naturalmente, del vino. Ho conosciuto persone che condividevano questa passione ma sono rimasto sempre un poco dietro le quinte, forse mi sembrava che fosse un mondo troppo particolare, troppo specialistico.
L’incontro con Mario Maffi (enologo di pregiata fama, non solo in Oltrepò Pavese) è stato direi definitivo, non perché sia diventato un sommelier, ma perché mi ha dato lo spunto per poter parlare e scrivere di vino. L’incontro è stato in piccolo ristorantino dove ho espresso la mia volontà di terminare questo sito web per gli amanti dell’escursionismo, e mi sono rivolto a lui per poter trovare un punto di unione tra il vino e la bicicletta. Mario tirò fuori un libro, “ecco guarda qui dentro troverai le risposte alle tue domande”, e quindi mi propose di passare una giornata con lui sulle strade d’Oltrepò. Con molta sufficienza pensai “ma conosco tutto di Oltrepò e di sentieri, cosa potrò vedere ancora?”, Pero, accettai e cosi, una volta avviatici con la auto, mi sono accorto che la faccenda non era come l’avevo pensata, e la mia desolante ignoranza è venuta fuori in brevissimo tempo.
Mario mi guidò verso la Cascina Gualdana (Campoferro), e vidi un viale di aceri che non avevo mai visto, di rara bellezza, poi ci portammo sulla strada che da Voghera va verso Stradella e lo sguardo volgeva sempre a destra, interminabili filari di vite, “ma come, sono stati sempre lì?” stupidamente gli dissi, al che lui con molta tranquillità rispose “certo”. All’improvviso capii cosa non ho fatto in precedenza, guardare, soffermarmi sulle bellezza di queste zone, un Oltrepò Pavese che avevo sempre visto di corsa e mai realmente osservati. Poi mi portò sopra Santa Giuletta per vedere un bellissimo albero monumentale, che purtroppo non ci fu permesso di vedere. In quel momento provai rabbia dentro di me, al pensiero di una tale bellezza fosse negata alla vista. Pensai alle tante bellezze, delle quali e’ ricco l’Oltrepo’ Pavese, che vengono negate alla vista, come il Maniero di Montalto Pavese, o i tanti castelli, ormai privati. Al che’ Mario mi disse “abbiamo così tanto da vedere da stufarci” e così poco più in là, mi accorsi che le mura di cinta del Palazza, erano completamente ricoperte di una pianta che apparentemente sembrava fosse edera ma, con stupore, Mario mi disse ”sono capperi” , il che mi fatto riflettere su quanto spesso noi apprezziamo le cose belle specie se sono poste in particolare evidenza, e non ci accorgiamo che spesso vicino ad esse ve ne sono altre di particolare ed altrettanta bellezza, completamente ignorate.
Ci incamminammo di nuovo e mi guido’ lungo un sentiero in un piccola valle sotto Oliva Gessi, soffermandoci nei pressi di una botola dove mi invitò a sentire il profumo che ne usciva: era ed è una fonte sulfurea “fonte Camarà” e dissi “identica quelle di Garlazzolo e di Retoribo”. I ricordi andarono quindi a quando mio papà mi portava sulla Lambretta alle Fonti di Retorbido per assaggiare l’acqua che sgorgava dalle fontane, dall’inconfondibile odore di uovo marcio. Pensieri e ricordi che sono svaniti nel tempo, ma che oggi ritornano freschi e limpidi come se non fosse trascorso cosi’ tanto tempo.
Voi direte cosa c’entra tutto questo con il vino? Stessa domanda feci anche io a Mario e lui con calma serafica rispose “c’entra … c’entra”. E dove se non nella ricerca dei profumi dei colori dei sapori di questa terra antica, che ci porta ai tempi dei Romani, che con il passare degli anni e dei secoli ricorda, nel suo piccolo, pienamente, la storia del nostro “Bel Paese”. Gli aromi ed i tanti sapori si intrecciano mantenendo comunque la propria identità, quasi a dare all’Oltrepò un motivo unico per un progetto unico, che possiamo trovare in tutto il paesaggio. L’Oltrepò Pavese trasuda di vita contadina, di colori, di vita quotidiana della quale si distinguono gli aromi. L’Oltrepò Pavese vive molto con le viti ed in ogni luogo, ogni valletta, ogni pendio rivolto al sole, possiamo trovare i lunghi filari che si mescolano ai tanti alberi da frutto, terre ricche di sapori che la rendono particolarmente unica.
Mario il giorno dopo mi invitò nell’azienda dove lavora da tanti anni per “guardare” le viti e il vino da vicino. Cosi’ percorremmo i filari per scoprire i colori, i sapori che accompagnati dal vento e scaldati dal sole, si rincorrono lungo i pendii delle colline circostanti. L’erba che viene macinata tra i filari, le foglie, l’uva, piccoli acini che regalano grandi emozioni; tutto tra i filari si sente, si assapora, e tutto cio’ ci pervade con sentore del lungo e faticoso lavoro dei braccianti nell’accompagnare il frutto alla vendemmia, il lavoro di chi entra nella vigna, raccoglie acini su acini e controlla che tutto stia procedendo per il meglio; un lavoro atto a dimostrare che tutti abbiamo un superiore, a dettare i tempi, in questo caso il vento, la pioggia e il sole. L’enologo deve essere quindi prudente e pronto ad apportare correttivi amando e rispettando la propria terra. Se tutto ciò in Oltrepò raggiunge livelli di eccellenza è perché ci sono state persone che hanno dato amore a queste terre, che si sono prodigate con lungimiranza quando hanno piantato il primo tralcio di vite. Soffermarsi su tutto cio’, ed assaporare i sapori e gli odori, e’ il miglior consiglio che si possa dare a chi vuole avvicinarsi a questa terra.
Poi mi invitò ad uno dei tanti corsi di degustazione di vino e di piatti tradizionali. Ho potuto quindi immergermi nei profumi che uscivano da tanti barattoli (campioni usati ai corsi di degustazione per riconoscere i profumi) e mi sono reso conto di non riuscire a distinguerli, eppure all’interno di quei barattoli c’erano cose che fanno parte della nostra vita quotidiana, a causa forse dall’appiattimento dei profumi e degli odori delle nostre citta’. La stessa cosa e’ stata per il vino, bisogna chiudere gli occhi, odorare gli profumi che escono dal bicchiere, per poi gustarlo, quel tanto che basta a regalarci un’esplosione di sapori che, oltre a quelli che si possono gustare in un vino buono, ci permettono di entrare in una dimensione fatta di ricordi, di immagini che entrano nella nostra mente insieme ai sapori ormai sopiti nei meandri del nostro cervello. Ecco cosa ci deve regalare il vino, la qualità e non la quantità, che qui in Oltrepò Pavese emerge ad ogni bottiglia che viene stappata.
Infine, dopo aver letto il libro che mi era stato regalato, mi sono accorto che all’interno di ogni sua parola, emergevano tutti momenti passati con l’amico Mario: poche ore che hanno fatto emergere in me emozioni e i sapori che vivono in queste terre. Nel libro ho trovato il lavoro e la fatica di chi ha creduto in queste terre; la vita dei grappoli che, gorgogliando all’interno delle botti, si trasformano in vino, la storia della vite in Oltrepò, la tecnica ed il lavoro nelle cantine che da settembre diventano frenetiche pur mantenendo la calma e la saggezza necessaria ad ottenere risultati finali di eccellenza, quelle eccellenze ottenute dalle numerose Aziende VitiVinicole, che mescolano storia, sapori, bottiglie e cultura.
Una Storia
Quante volte vi è capitato di prendere la nostra auto con la fidanzata, la moglie o qualche amico ed iniziare a percorrere la Valle Staffora verso Varzi, fare una sosta, ammirare il paese (che resta comunque uno dei luoghi più belli d’Italia, almeno per me, che essendo di origini varzesi, l'ho nel cuore e non mi capacito di come mai non sia iscritto nella lista dei Borghi più belli d’Italia): spinti, poi, da spirito di avventura, si decide di proseguire verso le montagne più alte dell’Oltrepò Pavese.
Lo sguardo accarezza tanti paesini arroccati lungo la strada, o vicini al corso del torrente Staffora, alcuni più conosciuti, altri meno, ma che danno la medesima impressione di familiarità, di placida vita quotidiana; sembra quasi di essere a casa e ciò coinvolge tutti, non solo coloro che numerosi sono emigrati verso città come Milano, alla ricerca di un lavoro sicuro.
Entriamo in un piccolo punto di ristoro che qui, spesso, è un bar con ristorazione, facilmente ci si imbatte in un arredamento che rammenta di storie e tradizioni. Capita di essere serviti da un’anziana signora e lei che ci racconta del figlio; tutti i fine settimana torna al paese per godersi il sole tiepido dell'appennino e la frescura della sera. La ascoltiamo volentieri, con il sorriso sulle labbra, forse rispettando quella malinconia che esce dal suo cuore; è un modo per fermare il tempo, così frenetico, e stimolare quei sensi, che molto spesso lasciamo in un angolo, come l'ascoltare i suoni, il bearsi dei profumi, assaporare, osservare e toccare, per vivere l'insieme di emozioni, che queste terre ci offrono.
Ripreso il viaggio, per chi ha radici in questi luoghi, certamente, avrà qualche momento di riflessione, un silenzio fatto di buoni ricordi che provengono da molto lontano e toccano l'infanzia; poi un profondo sospiro e si riparte, speranzosi, fiduciosi, con la voglia di sedersi su un bel prato di montagna e lasciare che il vento ti accarezzi i pensieri. Spesso i profumi qui sono intensi, come quelli dei fiori che nascono spontanei o che si trovano sui balconi delle case, quasi ad accogliere il nostro arrivo; ma anche i profumi dei cibi che cuociono sui fornelli, o col fuoco della stufa; inebriano le stanze, nasce il desiderio di seguirne la scia e spingersi dentro casa.
La vista, all’interno della casa è calamitata dalla signora vicino alla stufa, la pentola è colma di vino, pronta ad accogliere la carne, la verdura e le spezie per un buon brasato, il fuoco cuoce lento trasformando il tutto in una delizia per il palato; più in là lo sguardo corre verso il tavolo di legno nudo, sul quale si notano un cerchio di farina con al centro uova sgusciate, l’acqua resa sapida e le mani segnate dal tempo e dal lavoro, che con passione e maestria avvolgono l’impasto, compiendo movimenti ritmici; gli occhi di chi opra non fissano più in là come chi riflette sul passato e rivive quei momenti che appartengono a tempi più lontani.
I movimenti automatici delle mani lasciano spazio alla sua mente che corre nel tempo a quando bambina osservava la mamma che, sullo stesso tavolo ripeteva gli stessi movimenti si prodigava, soprattutto nelle feste importanti per soddisfare, con le sue prelibatezze, l'olfatto e il gusto dei famigliari e degli ospiti.
Si scorge, più in là, un uomo che sta arrivando col tipico cappello nero, una camicia bianca, un paio di pantaloni da lavoro e le scarpe segnate dalla terra del campo che qui ancora regala vita; la moglie sorride nel vederlo e sofferma lo sguardo sul viso scavato dal vento, sulle mani nodose e forti, la mente rimembra quel giovane che portandosi al petto il cappello si inchinava a lei trasmettendole, con occhi felici e lucidi, quanto non aveva il coraggio di dirle con le parole e ancora adesso aspetta quei messaggi con l'affetto di sempre.
Vita dura da queste parti, dover migrare per il lavoro stagionale in risaia, nelle vigne delle colline o, per le donne, nelle città liguri a fare le balie perchè anche questo era fonte di reddito per chi non trovava l'autosufficienza su queste montagne meravigliose ma spesso avare; soprattutto è stata l'ultima guerra che ha caratterizzato questo popolo dell'Oltrepò appenninico, il suo carattere fiero temprato nel tempo l'ha portato ad essere partecipe sia in guerra sia nelle lotte partigiane dove erano spesso presenti le donne nella veste di chi era di supporto diretto e di chi col dolore nel cuore per la perdita di un figlio o di un marito apportava comunque un suo servizio alla comunità. Tanti figli di questa terra sono state vittime del periodo bellico, ne sono prova le lapidi che troverete sul cammino, ai bordi delle strade; cippi che invitano a ricordare che certi eventi storici hanno lasciato il segno e comunque l'essere umano ha trovato la forza e il coraggio di ripartire con tanta voglia di rinascere anche interiormente. Tutto ciò dovrebbe essere di monito per le nuove generazioni e indurle a profonde riflessioni.
Ancora oggi, da queste parti, le mogli condividono col marito le stesse immagini di un tempo ed è normale quindi trovarle lì al tavolo di legno, con le mani avvolte dalla farina e come su riportato accolgono colui col quale da sempre condividono l’amore per quella famiglia, la speranza nella continuità di una vita serena condizionata dalla terra da lavorare faticosamente e ritmata dal ciclo delle stagioni. Basta spesso l'omaggio di un fiore di campo, di un frutto della terra o un semplice sguardo dolce per rafforzare ulteriormente il carattere e procedere sul cammino della vita.
Anche ai lettori può capitare di scorgere in questi borghi chi per loro impasta la farina per offrire una teglia profumata e fumante colma di agnolotti di stufato, un salame cucito dal gusto antico, i funghi di cui sono ricchi i boschi, la torta di mandorle, i formaggi locali e, ovviamente, un buon bicchiere di vino.
Gianni Brera amava ricordare come la sua provincia d'origine fosse: "a forma di grappolo d'uva" e anche l'alto Oltrepò esprime anche a tavola un aspetto importante della sua realtà quotidiana. Parecchi i ristoranti, le trattorie e gli agriturismi che propongono sapori antichi e tradizionali. Va anche ricordato che l'appennino delle quattro regioni ha trovato in Ernest Hemingway un grande estimatore; il fascino ancora oggi esistente di questa natura, allo stesso tempo curata e selvaggia, la possibilità di ammirare la flora e fauna di un fascino unico unita all'aspetto paesaggistico ancora intonso, nonché lo sguardo che può spaziare verso le valli e la pianura a perdita d'occhio, lo rendono unico. Cosa meglio, quindi, per chi ama la natura riscoprire questi territori che permettono di essere percorsi a piedi, in mountain bike o a cavallo, alla ricerca di piacevoli emozioni che certamente non mancano. La storia insegna che tanti nostri avi hanno percorso per motivi di sopravvivenza le strade del sale; diversi di loro hanno abbandonato la riviera per stanziarsi su questo appennino alla ricerca di maggiore fortuna e nel tempo hanno però sempre curato le antiche vie che oggi più che mai possono essere percorse da chi unisce la cultura del territorio col piacere dell'avventura.
Ecco, racchiusa in poche righe, una storia antica che si perpetua nel tempo, ancora oggi comune a quelle poche famiglie che sono rimaste stanziali; è così che, visitando i paesini di queste zone, possiamo spiare, entrando in quella porticina, come ci è capitato su di rimembrare. Quanto su scritto è frutto del mio rapporto con nonna Carmela, una figura dolcissima, che ricordo con tanto affetto, sull'antica mulattiera in sasso che quotidianamente percorreva da Varzi a Fabbrica Curone, per portare la sua presenza al fratello in difficoltà; qualsiasi fosse il tempo o la stagione, la sua presenza era determinante più di quel pezzo di formaggio o di altro cibo che cucinava per il suo congiunto.