La rosa dei venti
Un viaggio in bicicletta

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Storie e Leggende legate alle Quattro Province - Storie

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Tre Croci Antola
In una piccola radura nel bosco, facendo attenzione a sinistra fra le piante, si possono notare tre vecchie croci di legno, ricordo di tre paesani di ritorno dalla stagione di lavoro in risaia che, dopo un lungo viaggio a piedi per la val Borbera, erano ormai quasi arrivati a casa quando furono lì sorpresi da una bufera e morirono assiderati"
La Grotta dei Briganti
Nell'Alto Oltrepò Pavese esiste un percorso che da Fego  passa per Brallo, fino a giungere a Varzi.
Tale sentiero si inoltra nella valletta del rio Montagnola, un rivolo sassoso che scorre fra i faggi e carpini. Ad un certo punto si giunge davanti alla cosiddetta Grotta dei Briganti, costituita da due enormi massi grandi e massicci quanto una casa, sono poggiati l'uno contro l'altro e formano una grotta larga abbastanza per contenere cinque o sei persone.
La leggenda vuole che questo luogo, pervaso da un'atmosfera magica, sia abitato dallo spirito dell'ultimo essere di una stirpe antica, in parte uomo e in parte animali. Nei tempi andati ci fu chi disse di averlo visto correre nelle notti di luna piena lungo il greto sassoso del torrente, mezzo uomo e mezzo capro, o cavallo. Anni fa nelle veglie intorno al fuoco o nelle stalle si raccontava come qualcuno avesse scorto le sue tracce nella stretta piana.
La radura dei grandi massi coppellati ha un'atmosfera magica, sacrale, e l'aspetto della piccola grotta ricorda molto quello dei "ripari sotto roccia" tipici della preistoria appenninica. La grotta forma un camino naturale, è comoda, asciutta, con l'entrata nascosta dai cespugli di maggiociondolo. Un piccolo fuoco di foglie e d'erba, acceso nelle coppe scavate nei massi, può essere visto dalle cime e nella valle per chilometri e chilometri .
Non è difficile ipotizzare che in tempi remoti la radura dei grandi massi fosse un luogo di culto, visto che ancora oggi il fascino delle grandi pietre che si levano contro il sole colpisce chiunque si trovi a passare da quelle parti.
Un'altra leggenda narra che lì, vicino alla grotta, le donne scontente della loro vita potessero incontrare uno straniero, giovane forte e bello come il demonio. Vederlo e farsi prendere il cuore dalla passione era inevitabile, ma ogni donna che l'avesse guardato e si fosse data a lui, si sarebbe poi ritrovata ad attendere inutilmente accanto ai grandi massi nella radura, giorno dopo giorno, consumandosi d'amore fino a morire.
La palla di cannone a Montebello
Oltre al celebre monumento chiamato "la Bell'Italia" che ricorda i caduti della battaglia del 1859, Montebello ha un altro piccolo simbolo di quell'episodio d'arme che fece parte della Seconda Guerra d'Indipendenza. Si tratta di una palla di cannone che si conficcò nel muro orientale della chiesa parrocchiale di Genestrello.
Non sappiamo se il 20 maggio del 1859 a Montebello ci fosse un po' di foschia, come spesso accade nella fascia pedecollinare. Di certo c'era una gran confusione, Palla austriaca malgrado quello tra la cavalleria piemontese e la fanteria francese contro l'esercito austriaco sia stato soltanto uno scontro di secondo piano della Seconda Guerra d'Indipendenza. Nel primo pomeriggio gli attacchi francesi si concentrarono proprio nella zona di Genestrello. Centinaia e centinaia di soldati dislocati in un'area di pochi chilometri quadrati, disposti per cercare il modo migliore di sopraffare il nemico. I fatti d'arme più importanti avvennero nel primo pomeriggio, poco dopo mezzogiorno. E fu probabilmente in quella fascia oraria che da un cannone austriaco partì il colpo che colpì il muro della chiesa. Un tiro probabilmente errato, frutto di un calcolo affrettato o chissà di quale imprevisto. Certo le solide mura della chiesa hanno incassato bene e ancora oggi una targa ricorda quel fatto d'arme, insignificante nel resto del contesto in cui accadde, ma certo curioso.
Per la cronaca, la Storia ci racconta che gli austriaci riuscirono a respingere la prima offensiva francese, ma non furono in grado di sfruttare la possibilità del contrattacco. Verso le 15.15 un secondo attacco francese, agevolato da ripetute cariche dei Cavalleggeri di Novara, ebbe maggiore successo e gli austriaci furono costretti ad abbandonare l'abitato.
Pizzofreddo, Carlo Magno e la bara ghiacciata
Si dice che sia stato Carlo Magno a dare il nome al nostro borgo. L' imperatore si fermò in Valle Versa accampandosi dove oggi c' è la piazza principale. La mattina seguente si svegliò con la barba gelata e decise ribattezzare questi posti con il nome di "pizzo freddo". Come simbolo abbiamo scelto l' antica dogana sabauda che segnava il confine tra il ducato di Parma e Piacenza e il regno dei Savoia».